mercoledì 8 giugno 2016

Beethoven: Sonata per pianoforte n.8 op.13 "Patetica"

Come spesso è avvenuto, il nome con cui il grande pubblico è venuto a conoscenza di un'opera beethoveniana non è un appellativo pensato e voluto dal compositore (Guarda documentario su Beethoven - Guarda: Amata immortale, film): "Patetica" è la denominazione della Sonata per pianoforte n.8, op. 13, in Do minore, coniato dall'editore Eder per motivi commerciali. Ad ogni modo, Beethoven non disdegnò poi questa scelta, riconoscendo questo termine come aderente al suo lavoro ed esatto, nel senso di "patetico" per come lo intendeva Friedrich Schiller (sta ad indicare qualcosa che suscita emozioni, qualcosa di amorevole in grado di dare commozione). Composta negli anni 1798-1799, quando già Beethoven cominciava ad avvertire i primi, preoccupanti sintomi della sordità, la "Patetica" porta la dedica al principe Karl von Lichnowsky e segna decisamente un punto di svolta per la musica del compositore tedesco.

La Sonata si suddivide in tre movimenti:
1. Grave - Allegro di molto e con brio (Arthur Rubinstein esegue Primo Tempo Patetica - Horowitz)
2. Adagio cantabile (La bemolle maggiore) (Arthur Rubinstein esegue Secondo Tempo Patetica - Horowitz)
3. Allegro (Rondò) (Arthur Rubinstein esegue Terzo Tempo Patetica)

Si tratta di una composizione appartenente al cosiddetto primo periodo di Beethoven, fulgido esempio del focoso temperamento del giovane compositore che si sforza di forzare, letteralmente, i limiti naturali della tastiera e a piegarne la materia sonora alle sue nuove ed esuberanti necessità espressive. La Sonata in questione, rappresenta la prima manifestazione matura di un nuovo orientamento sulla concezione del genere stesso. Intanto è tripartita: ma a differenza di altri esempi di sonate tripartite, anche della stessa op. 10, il Minuetto/Scherzo viene eliminato non per ottenere un lavoro di dimensioni più contenute, ma allo scopo di dare maggiore coerenza e coesione a un lavoro di vaste proporzioni. L'effetto finale è un tutto organico corposo, con un profilo personalissimo e inconfondibile. E' l'opera che schiude il pianismo al pathos, chiudendo i battenti ai giochi musicali tipicamente galanti e a esso precedenti. Fece assolutamente colpo anche tra i contemporanei. Ignaz Moscheles nei suoi "Ricordi", dice in merito: "Appresi dai miei compagni di corso che a Vienna era giunto un giovane compositore di nome Beethoven. Questi rendeva nella propria musica le più singolari esperienze della vita, tanto che nessuno era in grado di comprenderle o di suonarle: una musica barocca irriducibile entro le regole (...). La novità del suo stile mi parve tanto cattivante, e fui preso da una tale ammirazione per la sua 'Patetica' che non potrei trattenermi dal parlare della mia nuova conquista al mio maestro. Questi mi mise in guardia dallo studio e dall'esecuzione di opere eccentriche prima che il mio stile si fosse rafforzato su solide basi. Non disdegnai il suo consiglio, ma non potei fare a meno di mettere sul leggio le opere di Beethoven man mano che uscivano".

La struttura della sonata è finalizzata a concentrare la maggior carica espressiva nel primo dei tre movimenti (Allegro di molto e con brio); in questo caso il primo movimento è organizzato in modo da esaltare il tessuto musicale e il materiale tematico presente. La forma è quella della forma-sonata[1] preceduta da una introduzione in tempo ”Grave”: Esposizione (due temi) – Sviluppo (del primo tema) – Ripresa (o Ricapitolazione) e Coda finale. Il tempo indicato è ”Allegro molto e con brio” in quattro quarti. La tonalità di base è quella di do minore.
In generale la sonata Patetica è caratterizzata da una forte unicità tematica, grazie alle "cellule tematiche" che fungono da legame tra le varie parti e tra i movimenti:
il nucleo tematico del grave (battuta 5) si presenta un po' ovunque nel corso del movimento:
- nelle battute iniziali della codetta del tema principale (batt. 27);
- nell'accompagnamento del secondo tema (batt. 51);
-  come elaborazione del primo tema (batt. 141).
il secondo tema (battute 51-52) si presenta nell'incipit del rondò
Lo Sviluppo (sezione in cui il compositore prende gli elementi dell'esposizione, li rielabora e li contrappone secondo vari procedimenti costruttivi) riparte con il tema del ”Grave” in ambiente tonale della dominante (sol minore). Ciò dimostra l'importanza di questa introduzione: non una preparazione al tema principale, ma elemento generatore di tutte le idee del movimento e quindi essenziale nello Siluppo. Dopo sole quattro misure (da battuta 135 a battuta 138) appare il tema fondamentale (battuta 139 e seguenti), unico protagonista di questo Sviluppo. La tonalità nella quale viene presentato il tema è il mi (mediante). La modulazione dal sol minore al mi minore, non usuale a quei tempi, indica ancora una volta lo spirito rivoluzionario di questa composizione. In questo Sviluppo si sente ”quel largo respiro beethoveniano e quell'impetuosità nell'ascesa che lo differenzia da tutti gli altri”.
Interessante è, nella fase finale di questa parte, l'insistenza di un pedale sulla dominante (sol) da battuta 169 a battuta 189 realizzato prima con delle quartine di crome e poi delle minime sincopate; preparazione armonica alla riesposizione del tema fondamentale alla tonica (do minore). Procedura derivata e consolidata dalla struttura della parte finale della fuga. La Ripresa (a battuta 197) inizia, come previsto dalle norme della forma-sonata, con il tema fondamentale nella tonalità di base (do minore). Al tema del ”Grave” verranno riservate le misure finali del movimento. La conclusione della Ripresa del primo tema sulla dominante (do) dà la possibilità a Beethoven di presentare il secondo tema in fa minore (sottodominante) e non nella prevista tonalità di base (do minore). (Brendel esegue Sonata "Patetica")

La tensione drammatica del primo movimento si placa nel più tradizionale ”Adagio cantabile”, ma pur sempre ”una linea adamantina che non si piega a nessuna tendenza contingente e che s'erge pura nell'eterna giovinezza dello spirito”.
Questo secondo movimento in tempo “Adagio” è in due quarti nella tonalità del sesto grado (rispetto alla tonalità di base del primo movimento e della sonata: do minore), ossia la bemolle maggiore (la nuova tonica per questo movimento). La struttura formale può essere interpretata sia come una forma tripartita oppure anche come un Rondò con tre presentazioni del tema.Questa diversa interpretazione della struttura formale del brano dipende dalla prospettiva di partenza: quello teorico-didattico oppure estetico. Nel primo si privilegiano, tramite una dettagliata analisi, i processi variativi della composizione; nel secondo il procedere temporale dei materiali musicali esposti.

Il terzo movimento è un Rondò in quattro quarti tagliato, in tempo di “Allegro” e nella tonalità di base (do minore). La struttura formale è quella tipica di un Rondò con quattro esposizioni del tema e tre episodi intermedi (l'ultimo episodio è in realtà una ripetizione variata del primo). Questo finale è indubbiamente meno “impegnato” e senz'altro inferiore all'altezza spirituale degli altri due movimenti; in definitiva è più vicino ad una certa grazia settecentesca che non all'impeto, all'ascesa spasmodica del tema del primo movimento.Viene meno anche l'approccio serio dei primi due tempi: anche se la tonalità di base è quella drammaticamente minore (do minore), al suo interno ci sono molte aree in tonalità maggiori. Un'ultima considerazione sul termine Rondò. In realtà questo movimento è un Rondò-sonata (termine che comunque non esisteva ai tempi di Beethoven). Questo per la presenza di idee secondarie che possono essere considerate dei secondi temi, per gli episodi intermedi assimilabili “quasi” a degli sviluppi e per l'ultima esposizione del tema che dà una forte sensazione di ripresa.

martedì 7 giugno 2016

Brahms: Tre intermezzi op. 117

I tre Intermezzi Op. 117 furono composti nel 1892 e sono tra i più amati e tra i più popolari lavori dell'ultimo pianismo di Johannes Brahms. Su una dimensione più intimistica rispetto alle Op. 116, 118 e 119, il compositore descrive questi pezzi come "nenie per le mie sofferenze". Vi troviamo in effetti Brahms al suo massimo livello di tenerezza e introspezione, con un solo momento di esplosione (nel terzo Intermezzo), dato a dir poco notevole se pensiamo alla caratteristica fierezza del compositore. Gli Intermezzi traggono ispirazione da un poema scozzese estratto dalle "Volkslieder" di Herder e presentano questa iscrizione (per l'esattezza, tale epigrafe compare a introduzione del primo intermezzo ed è tratta dal "Lamento di Lady Anna Bothwel"):

Schlaf sanft mein Kind, schlaf sanft und Schön !
Mich dauert's sehr, dich weinen sehn.

Dormi dolcemente bambino mio, dormi dolcemente e tranquillo!
Mi fa male il cuore a vederti piangere

Abbiamo datato questi lavori 1892: e in effetti, in questi anni Brahms si volgeva, e lo aveva fatto già negli anni immediatamente precedenti, alla rivalutazione del sistema di valori, per così dire, intimistici e individualistici, offerti dal Romanticismo. Ne nacque una serie di composizioni per pianoforte, a partire dai Lieder (Bernarda Fink - Roger Vignoles) e dagli otto pezzi op. 76. Dopo l'impegno sinfonico del Concerto op.102, rivediamo il compositore a scrivere per pianoforte solo nella sua villa di Ischi. 
Possiamo affermare che le grandi sonate di Beethoven scritte nei primissimi anni del diciannovesimo secolo e i brevi pezzi in forma libera scritti da Brahms, tra cui appunto questi Intermezzi, aprono e chiudono tutto l'Ottocento pianistico: le prime rappresentano il vertice dello stile classico, i secondi l'estrema concezione romantica della musica come attività sentimentale e del pianoforte come veicolo privilegiato delle confessioni più intime e toccanti. D'altronde, le affinità tra Brahms e Beethoven sono incontestabili, non soltanto perché lo stesso Brahms si dichiarava proveniente da una cultura musicale che risaliva a lui e ancor prima a Bach, fino ai maestri della polifonia rinascimentale, ma anche perché alla base della sua musica vi sono principi di architettura musicale classici, primo tra tutti il contrappunto. 
Analizziamo i tre Intermezzi. (Sokolov esegue Tre Intermezzi op.117)
Il primo Intermezzo (Andante Moderato in 6/8, tonalità di Mi bemolle maggiore) è, come nella maggior parte di casi analoghi, in forma di canzone, con prima parte, seconda parte e ripresa variata della prima parte. La prima parte, quasi una ninna-nanna, è strutturata alla maniera romantica, ma al di sopra della melodia Brahms colloca una contromelodia raddoppiata in ottava, in modo che la sonorità ne risulti assolutamente rinnovata. (Glenn Gould esegue Intermezzo n.1 op.117) La seconda parte è forse ispirata alla seconda strofa del "Lamento":

Quando tuo padre venne da me
Teneramente, tanto teneramente mi chiese di amarlo
Tuo padre! Io non immaginavo ancora il suo tradimento,
Non conoscevo ancora la sua perfidia

Il secondo Intermezzo (Andante non troppo e con molta espressione, in tonalità di Si bemolle minore)  è un pezzo elegante, basato su ampi arpeggi da cui spunta la melodia, subito ripresa come un'eco da un'altra voce, il tutto in un'atmosfera di profonda malinconia, ma pure di ansia e tensione che risaltano in maniera particolare nelle modulazioni della coda. (Arthur Rubinstein esegue Intermezzo n.2 op.117)

Il Terzo Intermezzo (Andante con moto, in Do diesis minore) si apre con un misterioso e cupo andamento di marcia, richiamante le ballate nordiche. Il tono malinconico della prima parte ritorna nella terza e ultima, dopo una timida apertura in maggiore che pur con il suo tono tormentato e più vivo non prevale sulle intenzioni generali. (Arthur Rubinstein esegue Intermezzo n.3 op.117)

Clara Schumann ebbe a dire riguardo agli Intermezzi: "In questi pezzi io sento finalmente la vita musicale risvegliarsi nella mia anima". Brahms reagì, come spesso faceva, in maniera piuttosto brusca. Rifiutò formalmente la definizione dei tre Intermezzi come ninnananne, anche se qualche volta non lo negò, affermando che in realtà si dovrebbero definire "ninnananna di una madre infelice o di uno scapolo sconsolato"


sabato 14 maggio 2016

Johannes Brahms: Rapsodie op.79 n. 1 e 2

Johannes Brahms (Amburgo, 7 maggio 1833 – Vienna, 3 aprile 1897) è stato un compositore, pianista e direttore d'orchestra tedesco. Appare evidente nei suoi lavori una profonda intimità, in cui la severa continuità con la tradizione classica si armonizza con il ricorso ad accenti romantici. La musica brahmsiana, meditata e sofferta, si accompagna a una tendenza a prediligere la spontaneità dei tratti della musica popolare viennese e ungherese (Ascolta: Rapsodia Ungherese n.5). La trama musicale, adagiata nello spirito di riflessione e ripiegamento, esprime un senso di affettiva profondità e di dolcezza poetica (soprattutto nell'ultima produzione pianistica e sinfonica).
Brahms nacque da una famiglia modesta, secondo di tre figli.
Suo padre era musicista popolare e suonava diversi strumenti: flauto, corno, violino, contrabbasso, e fu lui a dare al giovane Johannes le prime lezioni di musica; la madre era una sarta e Brahms la amava profondamente. Quando il padre se ne separò nel 1865, il musicista — che non si sposò mai — rimase profondamente legato alla famiglia, tanto da sostenere anche la seconda moglie del padre, in vecchiaia. Malgrado le ristrettezze, la famiglia riconobbe le doti del piccolo Johannes e gli consentì un'educazione di qualità. Presto poté guadagnarsi da vivere lavorando in orchestrine locali, mentre continuava a studiare composizione. Mentre l'incontro con Liszt lo lasciò completamente indifferente, sarà fondamentale quello con Schumann, sia dal punto di vista artistico che da quello strettamente personale.
Vedendo in Brahms un forte deterrente alla corrente progressista rappresentata da Wagner e Liszt, Schumann segnalò al pubblico il grande musicista all'interno di un articolo della sua celebre rivista musicale, indicandolo come la promessa della nuova generazione. Bramhs da parte sua, già suo grande ammiratore ed estimatore, gli sarà molto amico fino alla fine dei suoi giorni e maturando al contempo una profonda devozione per sua moglie, Clara Schumann.
Con l'aiuto dell'amico Joachim, Brahms coltivò esercizi di contrappunto sempre più ardui e si avvicinò progressivamente alla composizione per orchestra per allargare il suo orizzonte stilistico, sino ad allora ristretto all'ambito dei Lieder (Guarda: Christa Ludwig and Leonard Bernstein) e delle composizioni per pianoforte. Tuttavia, è innegabile che la produzione pianistica, come già per Beethoven, fu per Brahms costante essenziale e fondamentale banco di lavoro su cui preparare gli strumenti indispensabili per affrontare altri generi. Il compositore si muove tra il tentativo di incatenare un temperamento impetuoso in forme rigide ed equilibrate e il successivo impegno sui problemi dell'elaborazione tematica e della variazione. Nell'ultima fase di sviluppo (1878-93), il pianoforte esaurisce la sua funzione, poiché ha ormai portato alla conquista dell'ideale supremo della sinfonia (Ascolta: Sinfonia n.5). E' solo allora che Brahms si rivolge al genere delle confessioni pianistiche, dei brevi pezzi intimi, delle fantasticherie, tanto congeniale fin dall'inizio a compositori come Schubert, Chopin e Shumann (Ascolta: Rubinstein esegue Intermezzo op.118 n.2Ascolta: Gould esegue Intermezzo op. 117 n.2Ascolta: Horowitz esegue Intermezzo op.117 n.2). 


Le Rapsodie op. 79 sono due composizioni per pianoforte scritte nell'estate del 1879, quando il compositore aveva già raggiunto la maturità della sua carriera. Brahms le dedicò ad una sua amica, la musicista e compositrice Elisabeth von Herzogenberg. La Rapsodia N. 1 in si minore, Agitato, è la più estesa; essa si articola in tre sezioni, di cui la prima e la terza in forma sonata, mentre la sezione centrale, nella tonalità di si maggiore, ha carattere lirico. La composizione si conclude con una coda nella tonalità di si maggiore.(Ascolta: Martha Argerich esegue Rapsodia op. 79 n.1Ascolta: Gould esegue Rapsodia op. 79 n.1). La Rapsodia N. 2 in sol minore, Molto passionato, ma non troppo allegro ha dimensioni più ridotte ed è in forma sonata (Ascolta: Martha Argerich esegue Rapsodia op.79 n.2Ascolta: Rubinstein esegue Rapsodia op.79 n.2). In entrambi i brani l'esposizione procede piuttosto a lungo prima che la tonalità principale appaia definitivamente stabilita. In principio Brahms aveva pensato di titolare "Capriccio" la prima delle due Rapsodie, ma su consiglio della stessa dedicataria pensò al nome di rapsodia data la struttura e l'elaborazione formale che passa da un pianismo vigoroso e robusto ad un altro di tono intimistico e delicatamente sentimentale, pur nel rispetto di quella cultura neoclassica alla quale l'autore non venne mai meno nel corso della sua produzione creativa. La prima Rapsodia è articolata in due temi distinti e in parte contrapposti: il primo ritmico e dal piglio vigoroso e perentorio, mentre il secondo ha un carattere melodico, interrogativo e leggermente inquieto. Nello scontro fra i due soggetti prevale il primo tema, prima di giu
ngere all'episodio centrale (Meno agitato), teneramente espressivo nel mutamento di tonalità dal si minore al si maggiore. Le battute finali puntano sul tono affettuoso ed elegiaco del secondo tema, trasferito nel registro basso e tra sonorità in dissolvenza. Anche la seconda Rapsodia in sol minore ("Molto passionato, ma non troppo allegro") ha le stesse caratteristiche del pezzo precedente e prevede due temi in contrasto fra di loro. Il primo, dopo un attacco sostenuto, è fondamentalmente melodico e lineare, mentre il secondo, in tempo di marcia, presenta una maggiore vitalità ritmica, conferendo alla composizione un'aria di ballata nordica. Torna alla fine lo scherzo iniziale, mentre la conclusione è affidata ad una coda piuttosto libera, secondo l'estro romantico pur presente nello stile brahmsiano.

Ludwig Van Beethoven: Rondò in C, op. 51/1

Ludwig Van Beethoven (Bonn 1770 – Vienna 1827) fu un grandissimo compositore d’origine tedesca. Iniziò la sua vera educazione musicale, filosofica e letteraria sotto la guida di Christian Gottlob Neefe, seguace dello stile sentimentale, espressivo, “parlante” di Ph. E. Bach (Ascolta: Concertos for Transverse Flute). Già prima dell’‘800, in effetti, Beethoven riverserà nelle sue prime composizioni il tentativo di fare del pianoforte uno strumento cantante. Studiò con il suo mentore il “Clavicembalo ben temperato” e il Versuch del già citato Ph. Emanuel Bach. Vienna, città dalle multiformi intelligenze musicali e sede dei migliori artisti dell’epoca, accolse Beethoven, aspirante all’eredità di Mozart, per molti anni e restò la sua residenza sino alla morte. La sua bravura come pianista e soprattutto la sua fama di grande improvvisatore fecero presto ad aprirgli le porte della nobiltà viennese. Il ventennio compreso tra il 1795, anno del primo concerto pubblico, e il 1815, quando dovette sospendere ogni attività di pianista e direttore a causa della perdita totale dell’udito, fu per Beethoven il periodo di maggior fortuna, mondana ed economica. Fu tuttavia nel corso degli stessi anni che la sordità cominciò a tormentarlo fino alla completa atrofia del nervo acustico. Terribili le crisi che ne derivavano, superate a fatica da un incrollabile e coraggioso ottimismo e da un ideale amore nei confronti dell’umanità, pur costantemente messi alla prova dai suoi difficili rapporti sociali. In particolare con le donne (ricordiamo la celebre “amata immortale” di una lettera del 1812, mai identificata), non riuscì mai a concretizzare le sue accese passioni in vincoli familiari, nella cui sacralità pure nutriva una fede assoluta.

L’opera di Beethoven fu catalogata da Georg Kinsky e Hans Halm e comprende 138 composizioni con numero d’opera cui se ne aggiungono oltre 205 senza numero di catalogazione (WoO, “Werke onhe Opuszhal”: pezzi brevi per pianoforte, elaborazioni di melodie popolari, invenzioni per musica da camera, brevi appunti). Beethoven nacque pianista e in gioventù, sino almeno al 1795, scrisse solo per strumenti a tastiera. Un periodo centrale (1800-1815) lo vedrà orientato al genere sinfonico e concertante. Volendo riassumere in fasi lo stile e l’opera  di Beethoven, possiamo individuare una prima fase in cui egli pare decisamente legato a Mozart e soprattutto ad Haydn in termini stilistici (Ascolta: Piano sonata in F minor), in una sorta di “manierismo” fondato su vere e proprie citazioni, alla luce delle quali i primi spunti personali appaiono imprevisti e innovativi.
Nella seconda fase compaiono repentinamente i primi colori aggressivi, patetici e di contrasto che anticipano un vero e proprio romanticismo musicale alla maniera di Weber, Liszt, Schumann, Chopin e persino Brahms (Ascolta: Sinfonia n.5). La terza fase è quasi atemporale, visionaria, metafisica, dualistica: da un lato l’equilibrio, la simmetria e la chiarezza classici, dall’altro l’energia dirompente e spesso tragica degli opposti (Ascolta: Sonata op.27 n.2Rubinstein VersionHorowitz Version).
Tra le opere giovanili, scritte dunque prima dell’ ‘800, si inserisce il Rondò in Do maggiore op. 51/1 (Ascolta: Artur Schnabel esegue Rondò op.51/1). Esso fu pubblicato nel 1797 da Artaria, a Vienna, dove Beethoven aveva stabilito la propria residenza negli anni che seguirono la “Kreutzer Sonata”(Guarda: Kreutzer Sonata- Anne Sophie Mutter, Lambert Orkis Zohari) e la grande “Romanza” per violino (Ascolta: Uto Ughi esegue Romanza per violino.) E’ probabile che il Rondò sia stato composto qualche tempo prima: mostra in effetti ben poco della profondità delle opere citate, seppure compensi tale mancanza con una certa freschezza, vigore giovanile, ingenua allegria, ed esemplifichi con assoluta perfezione i tre principi fondamentali di tutte le arti: unità, varietà e simmetria (o equilibrio). La forma rondò (ABACA) e la forma canzone si sovrappongono così frequentemente da rendere a volte difficile, anche allo stesso compositore, distinguerle con precisione. E’ il caso di questo Rondò. Mentre il primo tema principale ricorre con frequenza sufficiente a giustificare la dizione di Rondò, tutti gli altri temi hanno carattere proprio e sono raggruppati o collocati in un modo che giustifica la forma canzone. Abbiamo dunque un tema principale in Do maggiore (per 17 misure) e una parte modulante di 7 misure e mezza che fanno da ponte verso il tema laterale sulla dominante (Sol maggiore). Sul terzo tempo della misure 34 inizia la preparazione, detta ritorno, poi il reingresso del primo tema principale da misura 43 che a 51 chiude e completa. Sul terzo movimento di questa misura si apre una nuova parte che contiene due temi: il primo, che chiameremo il secondo tema principale, è in Do minore e il secondo è nella relativa Mi bemolle maggiore. Ciascuno dei temi riempie 8 misure, dopo di che il tema in Do minore ritorna e completa. Abbiamo dunque due entità musicali complete. Se non fosse per l’unità organica di tutto il pezzo e per la parte di collegamento che ha inizio alla battuta 72, esse potrebbero essere eseguite come due pezzi separati e ognuno sarebbe di per sé compiuto. Segue poi un ritorno – questo ponte, appunto – che porta ad una ripresa della prima parte che riapre a misura 91, ma omette la ricorrenza del tema laterale e mette al suo posto una cadenza come coda che conclude il pezzo con un ultimo ricordo del tema principale (alla misura 131, mano sinistra).      
                                               
Tecnicamente, il pezzo non si presenta particolarmente complesso. Il primo tema principale richiede un tocco premuto e attaccato al tasto per rendere la melodia. La robustezza del tocco necessaria al secondo tema principale va evidenziata, oltre che sul piano dinamico, anche tramite un tocco pieno e corposo piacevolmente contrastato da uno cantabile e ben poggiato per il secondo tema laterale.


Johann Sebastian Bach - Il clavicembalo ben temperato

Sembra quasi superfluo dare per l'ennesima volta, come se già non se ne fosse parlato abbastanza, informazioni più che note sulla vita di musicisti tanto celebri come Johann Sebastian Bach, Ludwig Van Beethoven e Johannes Brahms. E in fin dei conti, se si escludono alcuni dati importanti ai fini della comprensione della loro storia artistica, i fatti che hanno caratterizzato la loro esistenza possono passare in secondo piano, per lasciare uno spazio maggiore all'analisi dell'opera, ben più importante ed interessante. Non ci esentiamo, comunque, da una necessaria contestualizzazione storico-biografica di questi compositori, le tre "B" tanto care soprattutto al mondo del pianismo, tappe obbligate e imprescindibili della comprensione dell'universo tutto della musica.
Cominciamo con Bach. Johann Sebastian Bach nacque a Eisenach, in Turingia, nel 1685, dalla famiglia di musicisti tedeschi più nota ai suoi tempi, al punto che il cognome "Bach" nelle città della Turingia era diventato sinonimo di "musicista". Johann Sebastian non solo darà lustro a questo nome, ma diventerà a buon diritto uno dei più grandi geni della storia della musica, tassello imprescindibile dell'evoluzione musicale a lui successiva e, inevitabilmente, da lui dipendente, anche a distanza di decenni. Rappresentativo in tal senso il fatto che sia stata l'esecuzione della Passione secondo Matteo, (AscoltaGuarda: Kölner Philharmonie) diretta a Berlino da Felix Mendelssohn, a riportare in auge la straordinarietà della musica bachiana, sino ad allora tenuta in poco conto, quasi del tutto dimenticata, se non da chi, come Mendelssohn, sapeva apprezzarne la specialità e l'elevatissima qualità.
Muovendosi tra Weimar, Kothen e Lipsia, Bach conduce un'esistenza relativamente tranquilla, per quanto segnata da numerosi lutti e spesso vivacizzata dal suo carattere niente affatto facile e conciliante, specie con i suoi superiori. La sua materia di massimo interesse era certamente la composizione di musica sacra per organo, strumento prediletto grazie al quale godette di grande fama.
I costruttori di organi ricorrevano spesso ai suoi consigli. Come autore, invece, fu assai meno conosciuto, anche perché gran parte della musica che scrisse era pensata per uso locale o personale. Si tratta di una produzione mirabilmente copiosa che comprende praticamente ogni genere, eccettuata l'opera: musica concertante, musica da camera e per clavicembalo (in cui la sua abilità contrappuntistica, figlia di una pregiata sintesi tra lo stile tedesco alla 
Buxtehude (Guarda:Toccata in D minor, BuxWV 155 - B. Foccroulle) e lo stile italiano alla Vivaldi (Guarda: F. Varela Montero, "La Primavera"), appare nettamente superiore  rispetto ai suoi contemporanei sia italiani che francesi: ne nasceranno i due libri del "Clavicembalo ben temperato"), i numerosi preludi e fughe, le toccate, le fantasie, le cantate e le passioni. Ormai completamente cieco, Bach detta la sua ultima, immensa composizione (rimasta purtroppo incompiuta), l'Arte della fuga (Guarda: Glenn Gould Contrapunctus I-IV), prima di esser colto da collasso cardiaco, sopraggiunto poche ore dopo un prodigioso recupero delle facoltà visive perdute da qualche anno. Il bagaglio musicale che Bach lascerà dietro di sé sarà immenso, seppure riscoperto molto tardi. 
Ora, qualche cenno sulla mastodontica opera del "Wohltemperierte Klavier". (Ascolta: Glenn Gould book 1Ascolta: Glenn Gould book II) I due libri, composti rispettivamente nel 1722, durante la permanenza a Kothen, e nel 1744 (a Lipsia), ma stampati nel 1799 contengono ciascuno 24 preludi e altrettante fughe nelle ventiquattro tonalità - fra maggiori e minori - della scala temperata. La prima coppia di preludio e fuga è in Do Maggiore, la seconda in Do minore, la terza in DoSharp.svg Maggiore, la quarta in DoSharp.svg minore, e così via. Lo schema continua, seguendo la scala cromatica fino al completamento di tutte le tonalità maggiori e minori. L'opera è pensata per strumento a tastiera (senza distinzione tra clavicembalo, clavicordo e organo da camera), "per utilità ed uso della gioventù musicale avida di apprendere, ed anche per passatempo di coloro, che in questo studio siano già provetti". Secondo un'opinione diffusa, quest'opera testimonierebbe il sostegno di Bach a un sistema di accordatura (temperamento) innovativo per la sua epoca, che molti identificano tout court con il moderno temperamento equabile.
In realtà, ai tempi di Bach era definito "buon temperamento" qualsiasi sistema di accordatura che permettesse di suonare in tutte le tonalità, in contrasto con il 
temperamento mesotonico di uso corrente nei secoli XVI e XVII. Ai tempi di Bach esistevano numerosi schemi di "buoni temperamenti", basati su diverse alterazioni degli intervalli di quinta; con ognuna di queste accordature, dette "ineguali", era possibile suonare in tutte le tonalità, ma l'alterazione di ciascun accordo rispetto alle consonanze perfette variava da una tonalità all'altra. Ogni tonalità acquistava, in questo modo, un "colore" caratteristico, che tuttavia dipendeva dal particolare "buon temperamento" adottato. Ai tempi di Bach era anche noto, a livello teorico, il temperamento equabile moderno, in cui tutte le quinte sono ugualmente calanti. Questo schema era comunque di difficile realizzazione nella pratica (in quanto non contiene nessun intervallo "giusto" che si possa usare come riferimento nel corso dell'accordatura, a parte ovviamente l'intervallo di ottava). Resta da capire a quale specifico temperamento volesse riferirsi Bach nel titolo della sua opera.