mercoledì 8 giugno 2016

Beethoven: Sonata per pianoforte n.8 op.13 "Patetica"

Come spesso è avvenuto, il nome con cui il grande pubblico è venuto a conoscenza di un'opera beethoveniana non è un appellativo pensato e voluto dal compositore (Guarda documentario su Beethoven - Guarda: Amata immortale, film): "Patetica" è la denominazione della Sonata per pianoforte n.8, op. 13, in Do minore, coniato dall'editore Eder per motivi commerciali. Ad ogni modo, Beethoven non disdegnò poi questa scelta, riconoscendo questo termine come aderente al suo lavoro ed esatto, nel senso di "patetico" per come lo intendeva Friedrich Schiller (sta ad indicare qualcosa che suscita emozioni, qualcosa di amorevole in grado di dare commozione). Composta negli anni 1798-1799, quando già Beethoven cominciava ad avvertire i primi, preoccupanti sintomi della sordità, la "Patetica" porta la dedica al principe Karl von Lichnowsky e segna decisamente un punto di svolta per la musica del compositore tedesco.

La Sonata si suddivide in tre movimenti:
1. Grave - Allegro di molto e con brio (Arthur Rubinstein esegue Primo Tempo Patetica - Horowitz)
2. Adagio cantabile (La bemolle maggiore) (Arthur Rubinstein esegue Secondo Tempo Patetica - Horowitz)
3. Allegro (Rondò) (Arthur Rubinstein esegue Terzo Tempo Patetica)

Si tratta di una composizione appartenente al cosiddetto primo periodo di Beethoven, fulgido esempio del focoso temperamento del giovane compositore che si sforza di forzare, letteralmente, i limiti naturali della tastiera e a piegarne la materia sonora alle sue nuove ed esuberanti necessità espressive. La Sonata in questione, rappresenta la prima manifestazione matura di un nuovo orientamento sulla concezione del genere stesso. Intanto è tripartita: ma a differenza di altri esempi di sonate tripartite, anche della stessa op. 10, il Minuetto/Scherzo viene eliminato non per ottenere un lavoro di dimensioni più contenute, ma allo scopo di dare maggiore coerenza e coesione a un lavoro di vaste proporzioni. L'effetto finale è un tutto organico corposo, con un profilo personalissimo e inconfondibile. E' l'opera che schiude il pianismo al pathos, chiudendo i battenti ai giochi musicali tipicamente galanti e a esso precedenti. Fece assolutamente colpo anche tra i contemporanei. Ignaz Moscheles nei suoi "Ricordi", dice in merito: "Appresi dai miei compagni di corso che a Vienna era giunto un giovane compositore di nome Beethoven. Questi rendeva nella propria musica le più singolari esperienze della vita, tanto che nessuno era in grado di comprenderle o di suonarle: una musica barocca irriducibile entro le regole (...). La novità del suo stile mi parve tanto cattivante, e fui preso da una tale ammirazione per la sua 'Patetica' che non potrei trattenermi dal parlare della mia nuova conquista al mio maestro. Questi mi mise in guardia dallo studio e dall'esecuzione di opere eccentriche prima che il mio stile si fosse rafforzato su solide basi. Non disdegnai il suo consiglio, ma non potei fare a meno di mettere sul leggio le opere di Beethoven man mano che uscivano".

La struttura della sonata è finalizzata a concentrare la maggior carica espressiva nel primo dei tre movimenti (Allegro di molto e con brio); in questo caso il primo movimento è organizzato in modo da esaltare il tessuto musicale e il materiale tematico presente. La forma è quella della forma-sonata[1] preceduta da una introduzione in tempo ”Grave”: Esposizione (due temi) – Sviluppo (del primo tema) – Ripresa (o Ricapitolazione) e Coda finale. Il tempo indicato è ”Allegro molto e con brio” in quattro quarti. La tonalità di base è quella di do minore.
In generale la sonata Patetica è caratterizzata da una forte unicità tematica, grazie alle "cellule tematiche" che fungono da legame tra le varie parti e tra i movimenti:
il nucleo tematico del grave (battuta 5) si presenta un po' ovunque nel corso del movimento:
- nelle battute iniziali della codetta del tema principale (batt. 27);
- nell'accompagnamento del secondo tema (batt. 51);
-  come elaborazione del primo tema (batt. 141).
il secondo tema (battute 51-52) si presenta nell'incipit del rondò
Lo Sviluppo (sezione in cui il compositore prende gli elementi dell'esposizione, li rielabora e li contrappone secondo vari procedimenti costruttivi) riparte con il tema del ”Grave” in ambiente tonale della dominante (sol minore). Ciò dimostra l'importanza di questa introduzione: non una preparazione al tema principale, ma elemento generatore di tutte le idee del movimento e quindi essenziale nello Siluppo. Dopo sole quattro misure (da battuta 135 a battuta 138) appare il tema fondamentale (battuta 139 e seguenti), unico protagonista di questo Sviluppo. La tonalità nella quale viene presentato il tema è il mi (mediante). La modulazione dal sol minore al mi minore, non usuale a quei tempi, indica ancora una volta lo spirito rivoluzionario di questa composizione. In questo Sviluppo si sente ”quel largo respiro beethoveniano e quell'impetuosità nell'ascesa che lo differenzia da tutti gli altri”.
Interessante è, nella fase finale di questa parte, l'insistenza di un pedale sulla dominante (sol) da battuta 169 a battuta 189 realizzato prima con delle quartine di crome e poi delle minime sincopate; preparazione armonica alla riesposizione del tema fondamentale alla tonica (do minore). Procedura derivata e consolidata dalla struttura della parte finale della fuga. La Ripresa (a battuta 197) inizia, come previsto dalle norme della forma-sonata, con il tema fondamentale nella tonalità di base (do minore). Al tema del ”Grave” verranno riservate le misure finali del movimento. La conclusione della Ripresa del primo tema sulla dominante (do) dà la possibilità a Beethoven di presentare il secondo tema in fa minore (sottodominante) e non nella prevista tonalità di base (do minore). (Brendel esegue Sonata "Patetica")

La tensione drammatica del primo movimento si placa nel più tradizionale ”Adagio cantabile”, ma pur sempre ”una linea adamantina che non si piega a nessuna tendenza contingente e che s'erge pura nell'eterna giovinezza dello spirito”.
Questo secondo movimento in tempo “Adagio” è in due quarti nella tonalità del sesto grado (rispetto alla tonalità di base del primo movimento e della sonata: do minore), ossia la bemolle maggiore (la nuova tonica per questo movimento). La struttura formale può essere interpretata sia come una forma tripartita oppure anche come un Rondò con tre presentazioni del tema.Questa diversa interpretazione della struttura formale del brano dipende dalla prospettiva di partenza: quello teorico-didattico oppure estetico. Nel primo si privilegiano, tramite una dettagliata analisi, i processi variativi della composizione; nel secondo il procedere temporale dei materiali musicali esposti.

Il terzo movimento è un Rondò in quattro quarti tagliato, in tempo di “Allegro” e nella tonalità di base (do minore). La struttura formale è quella tipica di un Rondò con quattro esposizioni del tema e tre episodi intermedi (l'ultimo episodio è in realtà una ripetizione variata del primo). Questo finale è indubbiamente meno “impegnato” e senz'altro inferiore all'altezza spirituale degli altri due movimenti; in definitiva è più vicino ad una certa grazia settecentesca che non all'impeto, all'ascesa spasmodica del tema del primo movimento.Viene meno anche l'approccio serio dei primi due tempi: anche se la tonalità di base è quella drammaticamente minore (do minore), al suo interno ci sono molte aree in tonalità maggiori. Un'ultima considerazione sul termine Rondò. In realtà questo movimento è un Rondò-sonata (termine che comunque non esisteva ai tempi di Beethoven). Questo per la presenza di idee secondarie che possono essere considerate dei secondi temi, per gli episodi intermedi assimilabili “quasi” a degli sviluppi e per l'ultima esposizione del tema che dà una forte sensazione di ripresa.

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