sabato 14 maggio 2016

Johannes Brahms: Rapsodie op.79 n. 1 e 2

Johannes Brahms (Amburgo, 7 maggio 1833 – Vienna, 3 aprile 1897) è stato un compositore, pianista e direttore d'orchestra tedesco. Appare evidente nei suoi lavori una profonda intimità, in cui la severa continuità con la tradizione classica si armonizza con il ricorso ad accenti romantici. La musica brahmsiana, meditata e sofferta, si accompagna a una tendenza a prediligere la spontaneità dei tratti della musica popolare viennese e ungherese (Ascolta: Rapsodia Ungherese n.5). La trama musicale, adagiata nello spirito di riflessione e ripiegamento, esprime un senso di affettiva profondità e di dolcezza poetica (soprattutto nell'ultima produzione pianistica e sinfonica).
Brahms nacque da una famiglia modesta, secondo di tre figli.
Suo padre era musicista popolare e suonava diversi strumenti: flauto, corno, violino, contrabbasso, e fu lui a dare al giovane Johannes le prime lezioni di musica; la madre era una sarta e Brahms la amava profondamente. Quando il padre se ne separò nel 1865, il musicista — che non si sposò mai — rimase profondamente legato alla famiglia, tanto da sostenere anche la seconda moglie del padre, in vecchiaia. Malgrado le ristrettezze, la famiglia riconobbe le doti del piccolo Johannes e gli consentì un'educazione di qualità. Presto poté guadagnarsi da vivere lavorando in orchestrine locali, mentre continuava a studiare composizione. Mentre l'incontro con Liszt lo lasciò completamente indifferente, sarà fondamentale quello con Schumann, sia dal punto di vista artistico che da quello strettamente personale.
Vedendo in Brahms un forte deterrente alla corrente progressista rappresentata da Wagner e Liszt, Schumann segnalò al pubblico il grande musicista all'interno di un articolo della sua celebre rivista musicale, indicandolo come la promessa della nuova generazione. Bramhs da parte sua, già suo grande ammiratore ed estimatore, gli sarà molto amico fino alla fine dei suoi giorni e maturando al contempo una profonda devozione per sua moglie, Clara Schumann.
Con l'aiuto dell'amico Joachim, Brahms coltivò esercizi di contrappunto sempre più ardui e si avvicinò progressivamente alla composizione per orchestra per allargare il suo orizzonte stilistico, sino ad allora ristretto all'ambito dei Lieder (Guarda: Christa Ludwig and Leonard Bernstein) e delle composizioni per pianoforte. Tuttavia, è innegabile che la produzione pianistica, come già per Beethoven, fu per Brahms costante essenziale e fondamentale banco di lavoro su cui preparare gli strumenti indispensabili per affrontare altri generi. Il compositore si muove tra il tentativo di incatenare un temperamento impetuoso in forme rigide ed equilibrate e il successivo impegno sui problemi dell'elaborazione tematica e della variazione. Nell'ultima fase di sviluppo (1878-93), il pianoforte esaurisce la sua funzione, poiché ha ormai portato alla conquista dell'ideale supremo della sinfonia (Ascolta: Sinfonia n.5). E' solo allora che Brahms si rivolge al genere delle confessioni pianistiche, dei brevi pezzi intimi, delle fantasticherie, tanto congeniale fin dall'inizio a compositori come Schubert, Chopin e Shumann (Ascolta: Rubinstein esegue Intermezzo op.118 n.2Ascolta: Gould esegue Intermezzo op. 117 n.2Ascolta: Horowitz esegue Intermezzo op.117 n.2). 


Le Rapsodie op. 79 sono due composizioni per pianoforte scritte nell'estate del 1879, quando il compositore aveva già raggiunto la maturità della sua carriera. Brahms le dedicò ad una sua amica, la musicista e compositrice Elisabeth von Herzogenberg. La Rapsodia N. 1 in si minore, Agitato, è la più estesa; essa si articola in tre sezioni, di cui la prima e la terza in forma sonata, mentre la sezione centrale, nella tonalità di si maggiore, ha carattere lirico. La composizione si conclude con una coda nella tonalità di si maggiore.(Ascolta: Martha Argerich esegue Rapsodia op. 79 n.1Ascolta: Gould esegue Rapsodia op. 79 n.1). La Rapsodia N. 2 in sol minore, Molto passionato, ma non troppo allegro ha dimensioni più ridotte ed è in forma sonata (Ascolta: Martha Argerich esegue Rapsodia op.79 n.2Ascolta: Rubinstein esegue Rapsodia op.79 n.2). In entrambi i brani l'esposizione procede piuttosto a lungo prima che la tonalità principale appaia definitivamente stabilita. In principio Brahms aveva pensato di titolare "Capriccio" la prima delle due Rapsodie, ma su consiglio della stessa dedicataria pensò al nome di rapsodia data la struttura e l'elaborazione formale che passa da un pianismo vigoroso e robusto ad un altro di tono intimistico e delicatamente sentimentale, pur nel rispetto di quella cultura neoclassica alla quale l'autore non venne mai meno nel corso della sua produzione creativa. La prima Rapsodia è articolata in due temi distinti e in parte contrapposti: il primo ritmico e dal piglio vigoroso e perentorio, mentre il secondo ha un carattere melodico, interrogativo e leggermente inquieto. Nello scontro fra i due soggetti prevale il primo tema, prima di giu
ngere all'episodio centrale (Meno agitato), teneramente espressivo nel mutamento di tonalità dal si minore al si maggiore. Le battute finali puntano sul tono affettuoso ed elegiaco del secondo tema, trasferito nel registro basso e tra sonorità in dissolvenza. Anche la seconda Rapsodia in sol minore ("Molto passionato, ma non troppo allegro") ha le stesse caratteristiche del pezzo precedente e prevede due temi in contrasto fra di loro. Il primo, dopo un attacco sostenuto, è fondamentalmente melodico e lineare, mentre il secondo, in tempo di marcia, presenta una maggiore vitalità ritmica, conferendo alla composizione un'aria di ballata nordica. Torna alla fine lo scherzo iniziale, mentre la conclusione è affidata ad una coda piuttosto libera, secondo l'estro romantico pur presente nello stile brahmsiano.

Ludwig Van Beethoven: Rondò in C, op. 51/1

Ludwig Van Beethoven (Bonn 1770 – Vienna 1827) fu un grandissimo compositore d’origine tedesca. Iniziò la sua vera educazione musicale, filosofica e letteraria sotto la guida di Christian Gottlob Neefe, seguace dello stile sentimentale, espressivo, “parlante” di Ph. E. Bach (Ascolta: Concertos for Transverse Flute). Già prima dell’‘800, in effetti, Beethoven riverserà nelle sue prime composizioni il tentativo di fare del pianoforte uno strumento cantante. Studiò con il suo mentore il “Clavicembalo ben temperato” e il Versuch del già citato Ph. Emanuel Bach. Vienna, città dalle multiformi intelligenze musicali e sede dei migliori artisti dell’epoca, accolse Beethoven, aspirante all’eredità di Mozart, per molti anni e restò la sua residenza sino alla morte. La sua bravura come pianista e soprattutto la sua fama di grande improvvisatore fecero presto ad aprirgli le porte della nobiltà viennese. Il ventennio compreso tra il 1795, anno del primo concerto pubblico, e il 1815, quando dovette sospendere ogni attività di pianista e direttore a causa della perdita totale dell’udito, fu per Beethoven il periodo di maggior fortuna, mondana ed economica. Fu tuttavia nel corso degli stessi anni che la sordità cominciò a tormentarlo fino alla completa atrofia del nervo acustico. Terribili le crisi che ne derivavano, superate a fatica da un incrollabile e coraggioso ottimismo e da un ideale amore nei confronti dell’umanità, pur costantemente messi alla prova dai suoi difficili rapporti sociali. In particolare con le donne (ricordiamo la celebre “amata immortale” di una lettera del 1812, mai identificata), non riuscì mai a concretizzare le sue accese passioni in vincoli familiari, nella cui sacralità pure nutriva una fede assoluta.

L’opera di Beethoven fu catalogata da Georg Kinsky e Hans Halm e comprende 138 composizioni con numero d’opera cui se ne aggiungono oltre 205 senza numero di catalogazione (WoO, “Werke onhe Opuszhal”: pezzi brevi per pianoforte, elaborazioni di melodie popolari, invenzioni per musica da camera, brevi appunti). Beethoven nacque pianista e in gioventù, sino almeno al 1795, scrisse solo per strumenti a tastiera. Un periodo centrale (1800-1815) lo vedrà orientato al genere sinfonico e concertante. Volendo riassumere in fasi lo stile e l’opera  di Beethoven, possiamo individuare una prima fase in cui egli pare decisamente legato a Mozart e soprattutto ad Haydn in termini stilistici (Ascolta: Piano sonata in F minor), in una sorta di “manierismo” fondato su vere e proprie citazioni, alla luce delle quali i primi spunti personali appaiono imprevisti e innovativi.
Nella seconda fase compaiono repentinamente i primi colori aggressivi, patetici e di contrasto che anticipano un vero e proprio romanticismo musicale alla maniera di Weber, Liszt, Schumann, Chopin e persino Brahms (Ascolta: Sinfonia n.5). La terza fase è quasi atemporale, visionaria, metafisica, dualistica: da un lato l’equilibrio, la simmetria e la chiarezza classici, dall’altro l’energia dirompente e spesso tragica degli opposti (Ascolta: Sonata op.27 n.2Rubinstein VersionHorowitz Version).
Tra le opere giovanili, scritte dunque prima dell’ ‘800, si inserisce il Rondò in Do maggiore op. 51/1 (Ascolta: Artur Schnabel esegue Rondò op.51/1). Esso fu pubblicato nel 1797 da Artaria, a Vienna, dove Beethoven aveva stabilito la propria residenza negli anni che seguirono la “Kreutzer Sonata”(Guarda: Kreutzer Sonata- Anne Sophie Mutter, Lambert Orkis Zohari) e la grande “Romanza” per violino (Ascolta: Uto Ughi esegue Romanza per violino.) E’ probabile che il Rondò sia stato composto qualche tempo prima: mostra in effetti ben poco della profondità delle opere citate, seppure compensi tale mancanza con una certa freschezza, vigore giovanile, ingenua allegria, ed esemplifichi con assoluta perfezione i tre principi fondamentali di tutte le arti: unità, varietà e simmetria (o equilibrio). La forma rondò (ABACA) e la forma canzone si sovrappongono così frequentemente da rendere a volte difficile, anche allo stesso compositore, distinguerle con precisione. E’ il caso di questo Rondò. Mentre il primo tema principale ricorre con frequenza sufficiente a giustificare la dizione di Rondò, tutti gli altri temi hanno carattere proprio e sono raggruppati o collocati in un modo che giustifica la forma canzone. Abbiamo dunque un tema principale in Do maggiore (per 17 misure) e una parte modulante di 7 misure e mezza che fanno da ponte verso il tema laterale sulla dominante (Sol maggiore). Sul terzo tempo della misure 34 inizia la preparazione, detta ritorno, poi il reingresso del primo tema principale da misura 43 che a 51 chiude e completa. Sul terzo movimento di questa misura si apre una nuova parte che contiene due temi: il primo, che chiameremo il secondo tema principale, è in Do minore e il secondo è nella relativa Mi bemolle maggiore. Ciascuno dei temi riempie 8 misure, dopo di che il tema in Do minore ritorna e completa. Abbiamo dunque due entità musicali complete. Se non fosse per l’unità organica di tutto il pezzo e per la parte di collegamento che ha inizio alla battuta 72, esse potrebbero essere eseguite come due pezzi separati e ognuno sarebbe di per sé compiuto. Segue poi un ritorno – questo ponte, appunto – che porta ad una ripresa della prima parte che riapre a misura 91, ma omette la ricorrenza del tema laterale e mette al suo posto una cadenza come coda che conclude il pezzo con un ultimo ricordo del tema principale (alla misura 131, mano sinistra).      
                                               
Tecnicamente, il pezzo non si presenta particolarmente complesso. Il primo tema principale richiede un tocco premuto e attaccato al tasto per rendere la melodia. La robustezza del tocco necessaria al secondo tema principale va evidenziata, oltre che sul piano dinamico, anche tramite un tocco pieno e corposo piacevolmente contrastato da uno cantabile e ben poggiato per il secondo tema laterale.


Johann Sebastian Bach - Il clavicembalo ben temperato

Sembra quasi superfluo dare per l'ennesima volta, come se già non se ne fosse parlato abbastanza, informazioni più che note sulla vita di musicisti tanto celebri come Johann Sebastian Bach, Ludwig Van Beethoven e Johannes Brahms. E in fin dei conti, se si escludono alcuni dati importanti ai fini della comprensione della loro storia artistica, i fatti che hanno caratterizzato la loro esistenza possono passare in secondo piano, per lasciare uno spazio maggiore all'analisi dell'opera, ben più importante ed interessante. Non ci esentiamo, comunque, da una necessaria contestualizzazione storico-biografica di questi compositori, le tre "B" tanto care soprattutto al mondo del pianismo, tappe obbligate e imprescindibili della comprensione dell'universo tutto della musica.
Cominciamo con Bach. Johann Sebastian Bach nacque a Eisenach, in Turingia, nel 1685, dalla famiglia di musicisti tedeschi più nota ai suoi tempi, al punto che il cognome "Bach" nelle città della Turingia era diventato sinonimo di "musicista". Johann Sebastian non solo darà lustro a questo nome, ma diventerà a buon diritto uno dei più grandi geni della storia della musica, tassello imprescindibile dell'evoluzione musicale a lui successiva e, inevitabilmente, da lui dipendente, anche a distanza di decenni. Rappresentativo in tal senso il fatto che sia stata l'esecuzione della Passione secondo Matteo, (AscoltaGuarda: Kölner Philharmonie) diretta a Berlino da Felix Mendelssohn, a riportare in auge la straordinarietà della musica bachiana, sino ad allora tenuta in poco conto, quasi del tutto dimenticata, se non da chi, come Mendelssohn, sapeva apprezzarne la specialità e l'elevatissima qualità.
Muovendosi tra Weimar, Kothen e Lipsia, Bach conduce un'esistenza relativamente tranquilla, per quanto segnata da numerosi lutti e spesso vivacizzata dal suo carattere niente affatto facile e conciliante, specie con i suoi superiori. La sua materia di massimo interesse era certamente la composizione di musica sacra per organo, strumento prediletto grazie al quale godette di grande fama.
I costruttori di organi ricorrevano spesso ai suoi consigli. Come autore, invece, fu assai meno conosciuto, anche perché gran parte della musica che scrisse era pensata per uso locale o personale. Si tratta di una produzione mirabilmente copiosa che comprende praticamente ogni genere, eccettuata l'opera: musica concertante, musica da camera e per clavicembalo (in cui la sua abilità contrappuntistica, figlia di una pregiata sintesi tra lo stile tedesco alla 
Buxtehude (Guarda:Toccata in D minor, BuxWV 155 - B. Foccroulle) e lo stile italiano alla Vivaldi (Guarda: F. Varela Montero, "La Primavera"), appare nettamente superiore  rispetto ai suoi contemporanei sia italiani che francesi: ne nasceranno i due libri del "Clavicembalo ben temperato"), i numerosi preludi e fughe, le toccate, le fantasie, le cantate e le passioni. Ormai completamente cieco, Bach detta la sua ultima, immensa composizione (rimasta purtroppo incompiuta), l'Arte della fuga (Guarda: Glenn Gould Contrapunctus I-IV), prima di esser colto da collasso cardiaco, sopraggiunto poche ore dopo un prodigioso recupero delle facoltà visive perdute da qualche anno. Il bagaglio musicale che Bach lascerà dietro di sé sarà immenso, seppure riscoperto molto tardi. 
Ora, qualche cenno sulla mastodontica opera del "Wohltemperierte Klavier". (Ascolta: Glenn Gould book 1Ascolta: Glenn Gould book II) I due libri, composti rispettivamente nel 1722, durante la permanenza a Kothen, e nel 1744 (a Lipsia), ma stampati nel 1799 contengono ciascuno 24 preludi e altrettante fughe nelle ventiquattro tonalità - fra maggiori e minori - della scala temperata. La prima coppia di preludio e fuga è in Do Maggiore, la seconda in Do minore, la terza in DoSharp.svg Maggiore, la quarta in DoSharp.svg minore, e così via. Lo schema continua, seguendo la scala cromatica fino al completamento di tutte le tonalità maggiori e minori. L'opera è pensata per strumento a tastiera (senza distinzione tra clavicembalo, clavicordo e organo da camera), "per utilità ed uso della gioventù musicale avida di apprendere, ed anche per passatempo di coloro, che in questo studio siano già provetti". Secondo un'opinione diffusa, quest'opera testimonierebbe il sostegno di Bach a un sistema di accordatura (temperamento) innovativo per la sua epoca, che molti identificano tout court con il moderno temperamento equabile.
In realtà, ai tempi di Bach era definito "buon temperamento" qualsiasi sistema di accordatura che permettesse di suonare in tutte le tonalità, in contrasto con il 
temperamento mesotonico di uso corrente nei secoli XVI e XVII. Ai tempi di Bach esistevano numerosi schemi di "buoni temperamenti", basati su diverse alterazioni degli intervalli di quinta; con ognuna di queste accordature, dette "ineguali", era possibile suonare in tutte le tonalità, ma l'alterazione di ciascun accordo rispetto alle consonanze perfette variava da una tonalità all'altra. Ogni tonalità acquistava, in questo modo, un "colore" caratteristico, che tuttavia dipendeva dal particolare "buon temperamento" adottato. Ai tempi di Bach era anche noto, a livello teorico, il temperamento equabile moderno, in cui tutte le quinte sono ugualmente calanti. Questo schema era comunque di difficile realizzazione nella pratica (in quanto non contiene nessun intervallo "giusto" che si possa usare come riferimento nel corso dell'accordatura, a parte ovviamente l'intervallo di ottava). Resta da capire a quale specifico temperamento volesse riferirsi Bach nel titolo della sua opera.